Con
il termine orchestra jazz si fa riferimento a quel tipo di formazione
orchestrale affermatosi, sin dagli anni venti, in America, ed interpretante
un repertorio prevalentemente jazz (in particolare swing e free jazz)
ma anche mambo e salsa. Di frequente utilizzo, per designare lo stesso
tipo di complesso, il più grande nell'ambito del jazz, sono anche
le definizioni inglesi di big band (letteralmente, "grande gruppo
musicale") o di stage band.
Nel
corso della loro evoluzione, a partire dalla fine degli anni venti, le
orchestre jazz hanno visto avvicendarsi nel loro organico un numero di
strumenti tanto eterogeneo da escludere classificazioni troppo rigide
sulla loro formazione.
Questa, infatti, almeno nella sua forma basilare (codificatasi attorno
ai primi anni trenta), contava un numero di 10 o, spesso, più musicisti
e si componeva di una sezione ritmica e di un ensemble di fiati: la prima
era formata da una batteria, un pianoforte, un contrabbasso e, molto spesso,
una chitarra; la seconda da un massimo di 4 trombe (a volte sostituite
con delle cornette o, più raramente, con dei flicorni), 4 tromboni,
2 sax contralti, 2 sax tenori e un sax baritono. Al reparto ance potevano
associarsi dei clarinetti.
A questo organico, in base alla corrente stilistica, alla sensibilità
del bandleader e al periodo storico, si devono aggiungere strumenti quali:
il basso tuba, predecessore del contrabbasso da cui fu progressivamente
sostituito, per poi essere reinserito, insieme al corno francese, dal
compositore Gil Evans; il banjo, rimpiazzato dalla chitarra, prima acustica,
poi elettrica; strumenti ad arco come il violino; l'eufonio, il flauto
o il clarinetto basso, tra gli altri strumenti a fiato; percussioni di
varia natura tra le quali il vibrafono; sintetizzatori o tastiere elettroniche
nei tempi più recenti.
In ultimo, al suddetto ensemble strumentale si affiancavano una o più
voci soliste, maschili o femminili, il cui ruolo consisteva nell'intonare
le melodie e i testi delle canzoni, nel capeggiare l'esecuzione.
Pur affondando le proprie radici nei piccoli complessi del decennio precedente,
è sul finire degli anni '20 che la formazione dell'orchestra jazz
si afferma in America come protagonista assoluta (e principale simbolo)
della stagione musicale passata alla storia con il nome di Swing Era.
Sui palcoscenici delle metropoli americane, con il principale intento
di dare vita ad una musica destinata all'intrattenimento e al ballo, si
avvicendano, si incontrano e, spesso, si sfidano le più autorevoli
orchestre del periodo.
È proprio in questo decennio che New York assurge al ruolo di maggiore
polo culturale della costa atlantica, grazie alla quasi inesauribile attività
dei suoi locali, tra i quali ricordiamo: il celeberrimo Cotton Club, in
cui consacrarono la propria fama le orchestre capeggiate da Fletcher Henderson,
Duke Ellington e Cab Calloway; il Savoy Ballroom, distintosi, tra le altre
cose, come teatro, nel 1937 e nel '38, di 2 duelli che videro la locale
orchestra di Chick Webb trionfare, previa votazione dei presenti, su quelle
ospiti, rispettivamente, di Benny Goodman e di Count Basie.
Negli stessi anni, anche attorno alla più settentrionale Chicago
gravitano orchestre non meno note di quelle della Harlem newyorkese: tra
le altre, ricordiamo quella del virtuoso Earl Hines, in cui militeranno
alcuni tra i futuri esponenti del Bebop, tra cui Charlie Parker, Dizzy
Gillespie o Billy Eckstine, poi leader di una propria formazione (con
musicisti quali Lucky Thompson, Fats Navarro, Sarah Vaughan, Miles Davis
o lo stesso Gillespie).
Dalla meridionale Kansas City, invece, proviene l'orchestra del già
citato Count Basie, esponente, in una tradizione già inaugurata
da Bennie Moten, di uno swing dalle sonorità più aggressive
e genuine, lontane dagli accessori e sofisticati ornamenti propri del
jazz di Harlem e vicine alla spontaneità del blues di New Orleans
e ai suoi head arrangments.
Di parallela affermazione sono le orchestre di compositori "bianchi",
quali il già citato Benny Goodman, Stan Kenton, Glenn Miller o
i fratelli Tommy e Jimmy Dorsey, che riscossero, almeno al tempo, maggior
successo di pubblico rispetto a quelle formate dai meno pubblicizzati
e apprezzati colleghi neri, in un'America ancora vicina a pregiudizi di
tipo razziale.
L'età d'oro dello Swing e delle orchestre (sia "nere"
che "bianche") subisce una battuta d'arresto nei primi anni
'40. Molte formazioni si sciolgono, altre (quelle di Count Basie o di
Duke Ellington) scivolano in secondo piano e cristallizzano i moduli della
propria arte, di fronte ad un pubblico che comincia a mutare gusti e tendenze:
il movimento del Bebop, che pur si servirà in un primo momento
della forma orchestrale (senza esaltanti risultati), riporterà
in auge ben più esigue formazioni, come il quintetto o il quartetto,
più congeniali alle sonorità, ai virtuosismi e all interplay
che i suoi protagonisti di proponevano di coltivare.
Ma, già dagli anni '50, compositori quali lo stesso Dizzy Gillespie,
Charles Mingus, Gil Evans o John Coltrane (nell'album Ascension) tornano
a vedere nell'orchestra uno strumento ideale per le proprie partiture,
estendendo il suo repertorio dall'orbita dello Swing a quella delle sonorità
latin, free o cool; molte delle formazioni in questione, come la "Mingus
Big Band", sono ancora in attività, a fianco a big band di
più recente istituzione, come la "Jazz at Lincoln Center Orchestra"
diretta da Wynton Marsalis, la "Italian Instabile Orchestra",
la "Liberation Music Orchestra", l'orchestra di Sun Ra, quella
di Dave Holland o quelle formatesi al seguito di cantanti; tra questi
ricordiamo: Tony Bennett, Paul Anka, Michael Bublé, Natalie Cole,
George Michael, Diana Krall, George Benson, Robbie Williams.ne orchestrale
e, per estensione, nell'intrattenere il pubblico.
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